Il ciclismo si può raccontare anche attraverso le pietre, quelle pietre a forma di paracarro che, per decenni, sono stati muti e pazienti testimoni di questo sport. PaoloCiaberta©fotografie.
“Avete mai pensato all’intrinseca dignità del paracarro? Se la risposta è no, state tranquilli. Probabilmente l’unico italiano ad aver dedicato attenzioni fuori dalla norma agli elementi in pietra che delimitavano la carreggiata è Dario Pegoretti, il pensionato ideatore di questo museo. Nel corso della sua vita Dario, avendo lavorando per 36 anni come responsabile dell’illuminazione delle strade provinciali di Trento e avendo gareggiato per 39 anni come ciclista, ha incrociato un sacco di paracarri. La scintilla però è scoccata il giorno in cui ha visto in un cantiere dozzine di paracarri che erano stati rimossi perché ormai desueti. Da qui l’intuizione: costituire un museo dedicato a questo elemento poco slanciato della sede stradale. Molte delle 100 colonnine pietrose esposte provengono da salite storiche del giro d’Italia (Stelvio, Tonale, Rolle, Fedaia, Pordoi), quindi Dario le ha abbinate ai nomi di grandi campioni del ciclismo che si sono distinti in quelle tappe: Coppi, Bartali, Girardengo, Moser, Merckx, Gimondi, Pantani“. Marco Sors